Dicembre è il mese dell’attesa per eccellenza.
Delle vacanze, della fine di un anno che magari non è stato il massimo, del tempo per la famiglia, dei regali, e per chi ancora ne sa cogliere il vero significato, del Natale, come simbolo della speranza nella forza della vita e dell’amore.
Dicembre porta sempre con se grandi aspettative e una certa frenesia; come se in quelle quattro settimane ci giocassimo il tutto per tutto per riparare i danni dei mesi precedenti, sistemare tutto ciò che non va, ricevere una sorta di assoluzione.
Ci impegnano tutti in lunghe maratone per gli acquisti, l’organizzazione di pranzi e cena, uscite, cose da fare, come se avessimo solo quel tempo ristretto per fare tutte queste cose.
E spesso arriviamo al momento di goderci il tutto, stanchi, stressati, svuotati, e alla fine magari anche un po’ delusi perché ce l’aspettavamo diverso.
Quest’anno l’attesa natalizia ha assunto un significato decisamente diverso, o meglio è stata in qualche modo surclassata da un’attesa più lunga che ha completamente assorbito quasi ogni nostra energia.
Da mesi infatti aspettiamo di ritrovare qualche certezza, costruire abitudini stabili, trovare punti fermi.
Cambiare è sempre necessario, ma richiede tanta fatica e coraggio; farlo improvvisamente senza avere nessuna certezza su quello che sarà, con la paura che ancora tutto possa nuovamente mutare, richiede una fiducia e una resilienza che non è facile mantenere.
Non possiamo più attendere i cenoni, le feste, le vacanze, come eravamo abituati; aspettiamo i DPCM per sapere cosa potremmo fare, con tanta tristezza per tutto ciò che non sarà.
E anche se stiamo tutti cercando di resistere, in onore di un bene maggiore, e cerchiamo quotidianamente di dirci che non possiamo fare altrimenti, che passerà, nel periodo che dovrebbe essere il più luminoso dell’anno si fa più dura.
E anche se siamo pronti a giudicare chi si lamenta e non riesce ad accettare, sono sicura che tutti, senza eccezioni, ci sentiamo un po’ sconfitti e demotivati.
Ma l’attesa in realtà ha un sacco di cose da insegnarci., anche quando il tunnel è talmente lungo che la luce sembra non arrivare mai.
Sicuramente nella Società pre – pandemia la pazienza di aspettare era quasi scomparsa in onore della fretta e della smania del tutto e subito, che non permetteva più che ci potesse volere del tempo per sapere, fare, ottenere.
Ma la fretta come si sa è cattiva consigliera: fa prendere decisioni impulsive, fa lavorare male, fa perdere preziosi dettagli, aumenta le ansie, rende nervosi, e toglie completamente la capacità di godere il bello.
L’attesa, anche se porta con se una certa incertezza e paura per quello che sarà (nella fretta non si ha tempo di pensare a questo) ci può dare la possibilità di capire in fondo cosa vogliamo, cosa è giusto fare, cogliere le sfaccettature delle cose per comprenderle fino in fondo.
Se penso alle relazioni di coppia, che sono il mio ambito di lavoro, l’attesa dell’altro, che contraddistingue sempre lo stare insieme, è quello che ci fa tenere sempre vigili, attenti.
Quando la persona che amiamo si allontana, o non risponde immediatamente ai nostri bisogni di affetto e vicinanza, o ci comunica il suo bisogno di tempo, ci sentiamo persi e impauriti.
Ma è da questa paura che possiamo capire meglio cosa vogliamo noi e cosa abbiamo tralasciato e non considerato, che riusciamo a trovare il giusto valore.
L’Avvento, per la religione cristiana, è il momento per illuminare le stanze buie e senza speranza, che abbiamo lasciato chiuse, per paura o disattenzione.
Per riscoprire la speranza, non intesa come ingenuità e ottimismo sfacciato, ma come idea che può esserci sempre una nuova luce.
Che anche quando tutto è buio, possiamo sempre trovare un appiglio luminoso, se sappiamo trovarlo.
E che forse la speranza non arriva così, ma va coltivata, alimentata.
Che le luci dobbiamo metterle noi nel nostro cammino, pronti a usarle quando il buio si fa intenso.
Questo però non vuol dire che di fronte ad una vita che spesso ci mette in estrema difficoltà dobbiamo sempre rispondere con ottimismo.
Abbiamo il diritto di provare rabbia, dolore, avvertire il senso di ingiustizia, anche pensare al peggio e lasciarci andare, perdere la speranza.
Ma poi, visto che siamo qui, possiamo almeno tentare di rendere il percorso tortuoso meno pesante.
La nostra rivincita sulle cose che fanno schifo e che non possiamo comunque cambiare può essere solo il trovare una soluzione, un appiglio se pur piccolo, che ci tenga aggrappati a qualcosa di buono
E forse nell’ attesa di questo dicembre disilluso, il nostro esercizio dovrà essere proprio questo: ritrovare qualcosa che ci mantenga aggrappati, per quando sarà possibile spiccare nuovamente il volo.