Quando si diventa genitori, ci si prepara per benino.
Si leggono libri, si frequentano corsi.
Su tutto.
Gravidanza, parto, allattamento, pavimento pelvico, nanna, cacca, pappa, fascia, pannolini lavabili (che dai salviamo il pianeta), sicurezza (in casa, fuori, dai nonni, dagli zii, in giardino, in macchina, in bicicletta).
La mamma viene sottoposta a controlli rigidi e ben pianificati
Si misurano costantemente valori del sangue, crescita della pancia e del peso (con lunghi pipponi sull’effetto devastante delle brioches).
Ecografie, visite ginecologiche, tamponi (in questo periodo in tutti i posti possibili).
Ci si diletta nell’acquisto compulsivo di oggetti che poi rimarranno li, a far bella mostra di loro. Perché sappiate che qualsiasi cosa avete preventivano non succederà, e vi servirà l’unica cosa che non avete comprato.
Si fanno progetti sulla gestione della nuova vita familiare: organizzazione, divisione dei ruoli, regole condivise da seguire.
Si sognano viaggi, avventure, momenti magici da condividere.
Poi la creatura tanto sognata e desiderata arriva.
E come se fosse finito il soggiorno in vacanza ci si ritrova in un vortice di lavoro, emozioni inaspettato letteralmente sconvolgente.
E si resta soli. Tutte le persone interessate durante la gravidanza spariscono. E si resta a gestire a volte l’ingestibile senza essere mai veramente preparato.
Nella fase iniziale un po’ l’incoscienza un po che siamo tutti come San Tommaso che non ci crediamo finché non ci mettiamo il naso, pensiamo che non sarà poi così male. Che sarà possibile avere ancora una vita.
Ma non è cosi.
Tutto cambia. Tutto. Per sempre. Tutto.
Si è travolti da un’amore che non si proverà mai nella vita. Incondizionato. Che tutto perdona. Che esisterà per sempre. Ogni progresso regala emozioni uniche.
Perché ora la vecchia vita ruota attorno alla nuova vita.
La mia esperienza mi ha insegnato che questo concetto non è proprio completamente e veramente chiaro.
Mai, a nessuno.
Dai secondogeniti in poi si è un filino più consapevoli, ma ahimè si tende a dimenticare (fa male ricordare forse).
Ed esiste un tacito accordo tra i genitori che è meglio non svelare proprio tutto, o lasciare nell’illusione che sia diverso (già i tassi di maternità in Italia sono drammatici).
Prendersi cura di un bambino è un’ esperienza totale.
La creatura si insinua in tutte le crepe della vita.
Anche quelle più intime ( come espletare i bisogni fisiologici).
Il concetto di libertà – da non intendersi come andare all’estero, farsi un tatuaggio o qualsiasi follia- sparisce completamente.
Si mangia, si dorme, ci si lava, si parla solo quando lo decide il cucciolo.
Ed è li che esercita la sua sete di potere; perché per il resto devi decidere sempre tu.
Lui si limiterà solo a piangere sempre più forte.
Avrà fame- ecco il latte.
Avrà sonno- ecco la ninna nanna-non gli piace-lo cullo-schifo-ok dorme con me;
Avrà mal di pancia- qui le soluzioni sono molteplici.
Avrà fatto la cacca- lo cambio
Fa freddo- lo vesto
Fa caldo- lo spoglio
Decisioni continue e ininterrotte. Tutto il giorno- tutta la notte.
E questo non si ferma mai. Mai.
Anche quando sono grandi e ti preoccupi che siano inseriti nel gruppo, che facciano la merenda giusta, che si ammalino. Che scuola sarà più giusta, che sport più divertente.
Praticamente oltre alla gravosa responsabilità di portare avanti la nostra carretta, dobbiamo portare avanti quella della creatura.
Perché se è vero che i figli vengono per essere lasciati nel mondo, non sono come i gatti che tempo due tre mesi e ciao. No questi ci mettono tanto più tempo.
E diciamocelo chiaramente: questa cosa è dura da accettare e portare avanti.
Lo è sempre stato. Ma ora di più.
Siamo troppo incastrati nel perfezionismo.
Riceviamo troppe nozioni che inibiscono il nostro istinto.
Siamo continuamente giudicati per le nostre performance che definiscono apparentemente il nostro status.
E non possiamo lamentarci perché i lamentoni non piacciono a nessuno.
E parlo soprattutto delle mamme ( si sa che simpatizzo sempre per loro).
Che la società da sempre erge a somme detentrici del potere della gestione della famiglia.
Eh d’altronde la mamma è sempre la mamma.
Ma è anche la compagna, non dimentichiamo.
E che non vorrai mica trascurare gli affetti. Sia mai.
E ora non si può non pensare ad una carriera (hanno voluto emanciparsi).
Ma la mamma aveva una vita. Dei sogni. Dei desideri. E ora e per sempre, per andare in bagno deve chiedere il permesso. Mangiare a rate. Passeggiare chilometri per favorire l’addormentamento. Ascoltare. Sostenere. Preparare cose. Inventare giochi.
Dormire con le orecchie paraboliche e prendere milioni di decisioni per conto di altri.
E organizzare ogni cosa.
Tutto questo lungo discorso non per demonizzare la maternità (anche se così potrebbe sembrare) ma per dire che forse se vogliamo che nel nostro paese il tasso di natalità abbia la minima possibilità di salire dobbiamo ripensare a tante cose.
Certo il welafare. Ma anche la divisione dei compiti in famiglia. Certo l’accesso ai servizi di cura. Ma anche smetterla di vedere i figli solo come lo specchio delle incapacità dei genitori. Certo politiche del lavoro vicino alle madri. Ma anche abbassare l’asticella del perfezionismo.
Insomma di lavoro ce n’è tanto. Ma è necessario per il futuro.